Recensioni e poesie dei lettori

Sono sempre stata convinta che finché c’è speranza, ci può essere rinascita. Per questo decisi di farlo. Sebbene sapessi, o almeno così credevo, ciò a cui andavo incontro, io ci speravo. La volevo una vita migliore, una vita vera. Non mi andava di accontentarmi di quello che aveva da offrirmi il mio paese, pari quasi a zero. In posti come la Somalia la vita è una lotta per la sopravvivenza, per la positività quasi non c’è spazio. Nonostante avessi più pareri contrari che a favore di questa mia scelta, decisi di tentare. Tanti di noi lo fanno, molti arrivano alla tanto ambita Italia, molti no. Non posso negarlo, avevo una paura immensa e quasi mi stavo auto convincendo che tutto sarebbe andato bene, ma cercavo di non pensarci, per quanto possibile.
A 22 anni il fuoco era ancora acceso dentro me. Partii, con un centinaio di persone di cui non sapevo niente. Mi sentivo sola, ma percepivo che tutti eravamo accomunati dalla paura che, pian piano, avrebbe preso il posto della speranza. Il nostro primo obiettivo era raggiungere la Libia, sognavamo di vedere il mare, la pericolosa via verso la salvezza o verso la morte. Non eravamo noi a stabilirlo. La mia forza fisica e psicologica fu messa a dura prova, come quella di tutti, del resto. Il deserto dorato sembrava infinito e sembrava troppo per noi. E così, dopo i primi morti, iniziava a venir meno anche la speranza.

 Non sapevo che giorno fosse o quanto tempo fosse passato, ma sicuramente tanto, davvero tanto. Avevamo poche risorse e sempre più il bisogno di fermarci. I volti stanchi e stravolti conservavano ancora un po’ quella voglia di rinascita. La sabbia era pungente e il nulla ci circondava. Un giorno al nostro orizzonte avvistammo il mare che accese nei nostri cuori una luce che non saprei spiegare. Sentivo di potercela fare. Salimmo in 76 su quel gommone grigio. Gli altri non ce l’avevano fatta e avvertivo l’esigenza di doverlo anche a loro. Non sapevo quante persone potesse contenere, di norma, quel gommone, ma sicuramente non 76. Il cibo era scarso e terminò tutto dopo il primo giorno. Non avevo mai provato così tanto freddo in vita mia. Viaggiavo con un piede sul gommone e l’altro nel mare gelido, lo spazio era davvero poco. Quando il gommone cominciò a riempirsi d’acqua, con una noncuranza che faceva male al cuore, lo scafista che, da tre giorni guidava con in mano il destino delle nostre vite, iniziò a gettare persone in mare. Vite buttate nel mare come spazzatura in un cassonetto. Azzardai in silenzio un lamento: “non puoi farlo”, ma al suo sguardo decisi di tacere in lacrime. Al quarto giorno anche il gommone sembrava non farcela più. Iniziai a domandarmi se saremmo arrivati e, nel caso, come ci avrebbero accolti. Chissà se l’Italia con il suo stivale ci avrebbe calciati via. È facile con l’occhio europeo giudicare e chiudere le porte agli immigrati giustificandosi con frasi del tipo: “non c’è lavoro nemmeno per noi”. Qui si tratta in primis di salvare vite, penso sia più importante. Mi sentivo vuota, ma piena di fame e sete. Ero immersa in uno scenario disperato prossimo a svanire con le nostre vite. Ripensavo a quelle buone anime che probabilmente giacevano già sul fondo del mare. Non sentivo più le gambe, non sentivo nulla e pensai che non ce l’avrei fatta nemmeno per miracolo. Ad un certo punto sentii qualcuno urlare: “ci siamo quasi, la terra è qui vicino a noi, ci sta aspettando!”. Non trovavo più le forze nemmeno per alzare lo sguardo. Improvvisamente avvertii il gommone fermarsi e non ripartire più. Era annegata anche la mia speranza.

 Qualcuno ancora pregava in tutti modi lo scafista di ricominciare a guidare. Parole al vento. A breve sarei sprofondata in quel freddo mare di angoscia. Tra lamenti e pianti distinsi il rumore di un elicottero. Mi salverà? Ci salveremo? Erano qui per noi? Non sapevo se fosse un buon segno. Mi abbandonai a me stessa, ero profondamente sfinita.

 Riaprii gli occhi. Non ero più al freddo, non c’era vento. Mi ci volle un po’ per capire che ero viva, ce l’avevo fatta. Scorsi con la coda dell’occhio un uomo con il camice bianco. Fui invasa da una fortissima quiete e nello stesso tempo gioia. Non sapevo cosa sarebbe successo dopo, ma andava bene così, perché ero viva e questo mi bastava. Ho capito che bisogna provarci, sempre. Se non sai come potrebbe andare, nel dubbio, provaci!

                                                                                     Clara Curci

 

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