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Interviste ai diversamente giovani. Per mantenere il cuore giovane Pietro di Biase ha come bussola il Vangelo e la ricerca storica

TRINITAPOLI - Chi è Pietro di Biase? Nato a Trinitapoli nel 1946, è uno storico. Si interessa di istituzioni ecclesiastiche del Mezzogiorno in età moderna. Già vicepresidente della Società di Storia Patria per la Puglia, per i suoi studi è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine “Al Merito della Repubblica Italiana”.

 

 

Ho il piacere di intervistare un collega con il quale ho insegnato per più di 20 anni negli stessi corsi. Sono pertanto certa che i tuoi studenti rimpiangeranno un docente che considerava il suo lavoro un’autentica missione. Quando incontri qualcuno dei tuoi ex allievi, ti capita di scoprire una passione per la storia locale forse trasmessa dal loro vecchio professore?

R.: L’incontrare gli ex alunni si rivela sempre una piacevole occasione per sapere di loro, della loro prosecuzione negli studi, della loro realizzazione sul piano professionale e… familiare, del matrimonio e dei figli avuti. Tengono particolarmente a dirmi delle posizioni raggiunte nel mondo del lavoro, ricordando positivamente la mia severità (per me “serietà”) tenuta nei loro confronti durante il percorso della scuola superiore. Con il passare degli anni essi si sono fisicamente trasformati e il più delle volte faccio fatica a riconoscerli, grazie anche alla mia innata poca memoria; pertanto, sono loro a riconoscermi per primi e a richiamare festosamente la mia attenzione. Se questo è, vuol dire che ho lasciato in loro un buon ricordo, il che non può che farmi piacere: sono queste, in fondo, le soddisfazioni per chi ha avuto l’onore e l’onere di insegnare.

In quanto alla storia, le tematiche locali mi davano solo lo spunto per evidenziare come nella “piccola” si riflettesse la “grande” storia, la quale si doveva nutrire della prima se non voleva rimanere sul piano della pura astrazione. Mi auguro che i miei alunni si siano interessati alla “storia” tout court, in quanto miravo a farne cittadini pienamente consapevoli.

 

Come diceva Voltaire “il cuore non invecchia, ma è triste alloggiarlo nelle rovine”. I tumultuosi cambiamenti climatici, politici, tecnologici e sociali avvenuti in Italia e nel mondo creano spesso sconcerto e disillusione in persone della nostra età. Ci rinchiudiamo nel nostro studiolo oppure non rinunciamo a far sentire la nostra voce “antica”?

 

R.: Che il mondo sia cambiato e continua tumultuosamente a cambiare sotto i nostri occhi è una realtà che spaventa e sconcerta: la sensazione diffusa è di sentirsi in balia delle onde, di navigare a vista, in mancanza di una bussola per orientarsi e di un qualsiasi punto di riferimento in una società definita “liquida”.

«Cerco un centro di gravità permanente che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose, sulla gente», cantava Franco Battiato, alla ricerca di un equilibrio tra il mondo esterno e le proprie idee, per non essere in balia di quelle degli altri.

Per me, cristiano, la bussola è il Vangelo, la Parola di Dio che si rivela sempre di stringente attualità, che resiste e supera i marosi delle tempeste ideologiche, che inchioda l’uomo alle sue responsabilità nelle scelte fatte e da farsi. È una Parola che mantiene il cuore giovane e lo allena alla resilienza, al superamento degli ostacoli e a guardare con fiducia ad un futuro, che dovrà comunque nascere dalle “rovine”.

Così come, ad alto livello, non mancano gli interventi del Papa e della Chiesa sulle problematiche sociali, economiche ed ambientali del nostro tempo, nel mio piccolo trovo il modo di dire la mia, a voce e per iscritto, nelle situazioni in cui mi trovo ad operare. Ma l’assordante strombazzare dei mezzi di comunicazione sembra accoppare la “flebile” voce del Papa e del singolo cristiano.

 

Il diplomatico dell’ONU Stephane Hessel, deportato a Buchenwald dai nazisti, ha scritto nel 2010, all’età di 90 anni, il celeberrimo “Indignatevi”, un piccolo saggio che divenne la spinta ideale del movimento spagnolo degli “Indignados”. Nel 2013, tre giorni prima di morire, completò il suo ultimo libro “Non arrendetevi!”. Per decenni aveva imparato una poesia al giorno sia per esercizio mnemonico che per piacere letterario. Come “allena” la sua mente un professore di Italiano e Storia non più tra i banchi di scuola?

 

R.: Era l’ottobre del 1969 quando il Prof. Mario Rosa mi accolse nel suo studio al secondo piano dell’Ateneo barese e mi propose una tesi di laurea sulla situazione socio-economica di Trinitapoli nel Settecento. Avrei dovuto studiare il Catasto Onciario del 1753, nel quale cogliere i prodromi della eventuale nascita di una borghesia locale. Cominciò allora il mio itinerario di studio e di ricerca in biblioteche e archivi, che mi ha portato ad indagare tanti aspetti della storia di Trinitapoli e del Mezzogiorno.

Quest’anno celebro le mie nozze d’oro con la ricerca storica: in 50 anni ho avuto modo di pubblicare libri, saggi in Riviste specialistiche, di relazionare in convegni anche a carattere internazionale (a Bari, a Roma e in Spagna), di tenere conferenze su temi di storia meridionale. Alcuni miei testi sono stati adottati in corsi universitari e ancora oggi il mio volume su Salpi è all’attenzione degli archeologi che stanno operando sul sito dell’antica città.

Non sono mancati riconoscimenti per questi miei studi, come la nomina a Cavaliere dell’Ordine «Al merito della Repubblica Italiana» o la elezione a Vicepresidente della Società di Storia Patria per la Puglia, che ha sede nel Palazzo Ateneo a Bari.

Una soddisfazione particolare mi viene dall’aver ricostruito, in anni e anni di ricerca, una storia del mio paese scientificamente valida. Così come la storia dell’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie pubblicata nel 2013 per volontà di Mons. Pichierri.

E allora la risposta a come alleno la mia mente mi sembra scontata: continuo a fare ricerca storica, a leggere testi di macrostoria e di microstoria, ad appassionarmi alle nuove tematiche della moderna storiografia.

 

«Il pane di ieri è buono domani», dice il proverbio. Con la bussola di queste parole il monaco Enzo Bianchi racconta nel suo libro “Il pane di ieri” storie, rievocando volti e avvenimenti della propria esistenza: il Natale di tanti anni prima e la tavola imbandita per gli amici, il suono delle campane all’alba e il canto del gallo nel silenzio della campagna, i giorni della vendemmia e la cura dell’orto. Trova il momento della solitudine e quello della veglia, accoglie la vecchiaia come una stagione che arriva alla vita. Il credente Pietro di Biase come “accoglie” la sua vecchiaia?

 

R.: La domanda mi ha portato a mettere a fuoco il dato della mia età, non avendo mai pensato di definirmi, e tanto meno sentirmi, “vecchio”. In realtà gli anni ci sono e mi collocano nella fascia sociologica della “terza età”. Ma mi è di conforto il recente dato di un’inchiesta internazionale, dalla quale emerge che un italiano di 75 anni ne dimostra in realtà 65. Sono ancora, quindi, nella fascia degli “anziani giovani”.

Al di là di ogni cosa, accolgo la mia “vecchiaia” come un dono speciale, da vivere in pienezza giorno per giorno, considerando anche che tanti miei coetanei non ci sono più.

Dal libro di Enzo Bianchi da te citato voglio riportare un passo, che mi aiuta ad esprimere il mio pensiero sulla “vecchiaia”: «Si paragona l’età alle stagioni dell’anno, e allora la vecchiaia è l’autunno, del quale però si scorgono solo le foglie che cadono, non il ribollire dei tini colmi di vino; si pensa alle ore del giorno e allora è il crepuscolo, ma se ne coglie solo la malinconia, non il pacifico ricomporsi del creato alle soglie della notte… Ci si consola come si può, con frasi fatte che suonano vuote sotto la loro superficiale doratura: “Non conta l’età fisica… l’importante è sentirsi giovane nel cuore”. In realtà, la vecchiaia è una tappa della vita: a vivere la vecchiaia si impara come si impara a camminare. Ci si addentra allora in un’avventura, che è sì avventura di spoliazione, ma che non contraddice l’irrobustimento dell’uomo “interiore”, dell’uomo “del cuore”».

 

Il domani appartiene anche ai vecchi. Quali sono i tuoi progetti futuri?

 

R.: Sì, il domani appartiene anche ai vecchi se, accanto ai ricordi che affollano la mente non mancano i sogni, che si accompagnano al desiderio di mettere a disposizione quel patrimonio di esperienza accumulato. Un proverbio africano definisce i vecchi delle “biblioteche viventi”, per cui «un vecchio che muore è una biblioteca che brucia».

Beh, un po’ mi sento una “biblioteca”, che - prima di bruciare - ha voglia di raggiungere i lettori più che attenderli. Infatti, quanto accumulato in termini di conoscenza della storia del nostro territorio mi piace ora divulgarlo. Ho animato, pertanto, l’iniziativa dell’Archeoclub di Trinitapoli, dal titolo Pagine della nostra storia, con incontri mensili presso la Biblioteca Comunale, che ha suscitato un particolare interesse per la modalità narrativa con cui ho presentato momenti e figure significative della storia trinitapolese, senza i tecnicismi tipici e necessari in una edizione storiografica.

È stata una esperienza di public history, espressione con cui si indica la storia narrata, rappresentata e comunicata per un pubblico ampio, di non specialisti, di non addetti ai lavori, con un obiettivo, in senso lato, di educazione civica e formazione culturale. In tal modo promuove anche la conoscenza, la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e paesaggistico, a cui guardare come risorsa per lo sviluppo economico di un territorio.

A proposito di questi miei “racconti” di storia locale, qualcuno richiamava l’immagine di un tempo, allorché i nonni, nelle serate d’inverno e riuniti attorno al “braciere”, raccontavano e ricordavano la loro storia e quella del paese. Suggestionato da questa immagine e sollecitato da più parti a dare alle stampe questi racconti, ho pensato ad un lavoro che unisse la Storia e le Storie del nostro territorio, una summa di storia casalina in forma divulgativa.

Un mio progetto per il futuro più immediato, pertanto, è quello di completare e dare alla luce questo volume, augurandomi che possa essere, specialmente per i giovani, occasione di conoscenza e di riscoperta di una identità sempre più sbiadita nell’era della globalizzazione e della multiculturalità.

 

ANTONIETTA D’INTRONO

 

VIA: Corriereofanto.it

 

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