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impoverimento linguaggio

Negli ultimi mesi, sono stati molti i campanelli d’allarme suonati per comunicare a docenti e genitori che gli studenti di ogni ordine e grado di scuola leggono poco. I grafici sulla lettura, pubblicati in seguito alla ricerca sulla “povertà educativa” condotta dalla Direzione Didattica “Don Milani” e dall’Istituto Superiore “Dell’Aquila-Staffa”,

escludono dal conteggio i libri di testo scolastici ed evidenziano come la stragrande maggioranza degli alunni legga meno di tre libri l’anno e, nella scuola secondaria, ben un terzo degli studenti dichiara di non aver letto nemmeno un libro, proprio nell’età in cui ci si aspetterebbe, invece, un aumento della passione per i libri anche in ragione della maturità dei ragazzi e dell’elaborazione di un gusto personale meglio definito.

 

Inoltre, riserva più di una brutta sorpresa l’ultima indagine OCSE Pisa resa nota nella prima settimana di dicembre. Crolla in modo verticale la preparazione degli studenti in tutto il mondo. Il rendimento medio nei Paesi OCSE è sceso di 16 punti in matematica e di 11 punti in lettura; ciò equivale all’incirca a mezzo anno scolastico in lettura e a tre quarti di anno scolastico in matematica, anche se i Paesi asiatici, Singapore, Cina, Giappone, Corea e nel continente europeo Estonia e Svizzera, continuano ad avere grandi performance. Ne consegue un pericoloso impoverimento del linguaggio che limita la comprensione di testi scritti e orali, una penuria di parole aggravata dai programmi televisivi trash più gettonati che trasformano i giovani in replicanti di banalità e stereotipi.

 

Sul web circola una lettera molto critica che un docente ha indirizzato a Maria De FilippiBarbara D’UrsoAlfonso SignoriniAlessia Marcuzzi e colleghi, responsabili di rimbambire le menti più fragili (leggindr). Infatti, il professor Marco Galice di Civitavecchia “vede i propri alunni emulare esasperatamente gli atteggiamenti di boria, di falsità, di apparenza, di provocazione, di ostentazione, di maleducazione che diffondono i personaggi della televisione; vede replicare nelle proprie aule le stesse tristi e squallide dinamiche da reality, nella convinzione che sia questo e solo questo il modo di relazionarsi con i propri coetanei e di guadagnarsi la loro accettazione e la loro stima; vede lo smarrimento, la paura, l’isolamento negli occhi di quei ragazzi che invece non si adeguano, non cedono alla seduzione di questo orribile mondo, ma per questo vengono ripagati con l’emarginazione e la derisione”.

 

Un “j’accuse” molto severo del professore che ognuno dei docenti e dei genitori potrà concordare di aver notato almeno una volta nei comportamenti dei ragazzi. Non è più tempo di analisi, studi, commenti, lamentazioni, deleghe e invettive. Senza perdere preziosi anni scolastici bisogna passare all’azione utilizzando gli strumenti che abbiamo sott’occhio e che sono opacizzati spesso dalla presunzione di non avere abbastanza strutture o di non avere sussidi didattici sufficienti per agire. Da dove cominciare? Nella scuola superiore quasi il 50% degli studenti non frequenta la biblioteca. Si tratta, allora, di organizzare come “primo step” iniziative settimanali per far conoscere ai ragazzi il “libro”, l’oggetto misterioso che, come dice una barzelletta, “non si spegne anche quando la batteria è scarica”.

 

La biblioteca è “una piazza del sapere” dove non si leggono soltanto i libri ma si partecipa ad attività che diffondono idee, creano passioni, stimolano riflessioni e inducono a coltivare relazioni umane mentre quelle virtuali di Facebook, Instagram e TikTok restano a riposo nei telefonini per qualche ora.

 

ANTONIETTA D’INTRONO

 

Via: Corriereofanto

 

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