Il Gattopardo

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Concetta era indignata: il quadro della Madonna della Lettera e le antiche reliquie tanto adorate e riverite erano state profanate, considerate oggetti irriverenti e deprecabili, indegni di appartenere ad una cappella consacrata, rifiutati dagli uomini della Chiesa, da quegli uomini spirituali e religiosi che lei aveva sempre rispettato e rappresentavano il faro nella sua vita di cristiana; finanche Sua Eminenza il Cardinale, che in casa sua non aveva accettato che un insipido bicchier d'acqua ignorando il sontuoso rinfresco preparato con cura, aveva disposto in tutta la sua autorevolezza anche il luogo in cui appendere il quadro incriminato, tra le altre opere d'arte nei salotti!

 

Tutto ciò era inammissibile, inaccettabile!

Risalì in fretta nella sua stanza, dalla finestra si scorgeva la vettura del Principe della Chiesa che si allontanava sbuffando nugoli di polvere; un altro uomo aveva preso decisioni riguardo alla sua vita, alle sue abitudini, alle sue scelte.

Tuttora, alla tenera età di settanta anni, mostrava rassegnata obbedienza, tolleranza e sottomissione, come quando era giovane e aveva rinunciato a Tancredi e dunque all'amore, prima per volere di suo padre poi a causa della sua integrità morale che la condusse a ricusare le affettuose - e indecorose - proposte del cugino.

Il suo amore per Tancredi era profondo, platonico; un amore vero e nobile come la classe aristocratica a cui era lieta di appartenere: lei era una principessa, una vera Salina come suo padre, ligia a quel dovere di appartenenza sociale, irreprensibile, inflessibile quale era, non poteva neanche immaginare di disonorare il suo nome cedendo ad effimeri desideri disdicevoli come aveva fatto invece Angelica con quel rozzo borghese, il senatore Tassoni.

E con questi pensieri austeri e virtuosi si rintanò, come soleva fare, nel suo mondo incartapecorito; nella stanza assolata il caldo di maggio erompeva e presagiva un'altra estate violenta e insopportabile.

Il sole impudente riversava afa rendendo l'ambiente più arido e ingiallito, rimandando fiammate nell'aria greve già resa soffocante dal mucchio di vecchie reliquie della donna, disseminate nella stanza: il suo inutile sterile corredo, Bendicò imbalsamato nella sua immobilità, il ritratto inerte di suo padre, tanto odiato quanto rispettato. Ora tutto le sembrò pesante, opprimente: era questo il suo presente, un cumulo di resti e carcasse, i ruderi del suo passato avvizzito che riecheggiavano in quella stanza penosa.

Aprì un cassettino rivestito di pietre dure e scagliola del prezioso monetario, ne estrasse l'ampolla velenosa. L'afferrò fra le dita, l'impugnò con ferma convinzione e pensò sommessamente.

Gli altri avevano compiuto il suo destino; una volta, una volta soltanto avrebbe potuto decidere per sè.

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