Madame Bovary
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Caro illustre scrittore, con questa mia miserrima carta vergata a mano, che altri oserebbero chiamare coraggiosamente “lettera”, non intendo affatto misurami con la vostra eloquenza e la vostra ampia cultura letteraria bensì desidero manifestare la mia sincera gioia per aver appreso l’esito positivo del processo che vi ha visto coinvolto, conclusosi appunto con l’assoluzione, grazie alla strenua e tenace difesa dell’avvocato Marie Antoine-Jules Sénard. Se aveste raccontato la verità, così come ha fatto lo scrittore americano Nathaniel Hawthorne nel suo romanzo “La lettera scarlatta”, sicuramente avreste evitato l’onta sofferta.
Ho avuto il piacere di leggere il vostro romanzo - che tanto ha offeso la morale pubblica e religiosa - e, in quanto donna anch’io, lo trovo complessivamente straordinario, anche se devo ammettere che certe volte mi sono adirata per il vostro atteggiamento arrendevole, freddo e distaccato nei confronti di Emma. Avreste potuto evitarle qualche sciagura: sposata malamente a Bovary; perduta nella ricerca instancabile di se stessa anche dopo la nascita di Berthe; privata di ogni interesse per la vita. Il suicidio infine, inteso come unico rimedio in grado di sciogliere le briglie delle convenzioni sociali, chiude il cerchio intorno ad una donna vittima della morale del nostro tempo. Ritengo, altresì, che il destino peggiore sia toccato proprio alla piccola Berthe, privata dell’affetto di sua madre e allevata da un padre che, seppur affettuoso, non riusciva più a garantirle una vita dignitosa a causa dei troppi creditori che si avvicendavano nei giorni successivi alla morte di Emma, portando via quasi tutto. Credo, però, che almeno in questo abbiate pienamente ragione. Ogni volta che qualcuno muore, chi gli sta intorno si divide in due contrapposti schieramenti: da una parte c’è chi ne piange la scomparsa, dall’altra c’è chi ne approfitta per arraffare tutto ciò che apparteneva al caro estinto (vedi Félicité). Sarebbe stato interessante ammirare almeno uno degli abiti indossati da Emma in un museo dedicato alle donne o all’arte dell’abbigliamento.
Ho letto “Madame Bovary”, dunque, grazie alla mano eretica di Marie de Vichy, la mia istitutrice che, con la sua apertura mentale per quel che concerne i metodi di insegnamento, mi ha passato i cosiddetti “libri proibiti”, contribuendo ad ampliare la mia modesta cultura di donna e a liberarmi dai falsi pudori travestiti da “morale comune”. Oltre all’amore per i libri e la lettura, Marie mi ha insegnato tutti quei lavori che da sempre fanno parte del patrimonio culturale e antropologico di noi donne: cucire, ricamare, lavorare a maglia. Patrimonio di cui sono sommamente orgogliosa. Ma torniamo al vostro romanzo. Leggendo con avidità mista a curiosità, mi persuadevo di conoscere già quella storia. “Forse mi sbaglio”, ripetevo tra me e me, convincendomi che si trattasse semplicemente dell’effetto evocativo della parola scritta. Poi ho provato a chiedermi quanto l’arte abbia imitato la vita e viceversa. Una domanda difficile alla quale ho provato a dare una risposta facendo ricorso all’aiuto di Marie. I miei vaghi ricordi e la sensazione del déjà-vu sommate alla preziosa testimonianza della mia istitutrice hanno contribuito a ricostruire in maniera veritiera gli eventi da voi narrati. L’arte ha tentato di imitare la vita, deformandola. Questa è la mia risposta ed è la medesima per voi e per Marie (credo che, passandomi il romanzo, ella abbia voluto che io sapessi tutto). Quindi adesso siamo in tre a conoscere la verità: Emma, donna coraggiosa e forte, affatto scalfita dal senso di colpa e dall’angoscia, preferì l’esilio volontario all’estero, contando sull’ospitalità di alcuni lontani parenti residenti a Bari, nel Regno delle Due Sicilie; Berthe fu mandata a Reims presso la comunità dei Fratelli delle scuole cristiane, fondata da Giovanni Battista de La Salle, dove è stata allevata e istruita; Charles, invece, morì d’inedia nel 1838, convinto di essere un fallito sia come uomo che come medico. Oggi Berthe compie ventisei anni, insegna pedagogia alle future insegnanti presso la comunità che l’ha allevata amorevolmente e insegue un sogno: ritrovare sua madre. Non tutti i sogni sono destinati a diventare realtà, l’importante è crederci. E Berthe ci crede.
Vi ringrazio mio caro illustre scrittore, perché avete avuto il coraggio di immolarvi al posto di Emma in nome dell’arte e della letteratura. La libertà di pensiero e di parola vanno difese sempre, lottando in prima persona contro ogni eventuale censura, affinché ciò che per alcuni è solo un’eresia sia per tutti gli altri anche un dibattito costruttivo, aperto a nuove prospettive.
ROBERTHE CLAIRE DE ROUEN
semplicemente vostra Berthe
Reims, 17 maggio 1857.

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