Madame Bovary

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Emma guardò fuori dalla finestra, l’unica porta sul mondo che le permetteva di fantasticare senza muoversi. Del resto, lei sognava una vita scintillante, ma temeva di mettersi in gioco. Bruciavano ancora nel suo animo le scottanti delusioni di Léon e di Rodolphe, che l’avevano nutrita di illusioni e poi lasciata morire di fame, abbandonandola. I capricci fatti per dimenticarli le erano costati cari e ora non aveva più nemmeno la sua bella dimora, sequestrata per debiti. Una giovane con le sue ambizioni non poteva ridursi in quello stato. Emma voleva vivere, ma con dignità e adesso che l’aveva persa, la sua esistenza era priva di senso. Con estrema freddezza, prese la boccetta di veleno tra le esili pallide dita e guardò ancora una volta fuori dalla finestra. Doveva solo dare qualche sorso e tutto il suo dolore sarebbe cessato per sempre. Appoggiò le labbra all’orlo del contenitore, ma all’improvviso sentì mancare il coraggio. Ebbe l’impressione che ci fosse qualcosa in sospeso … La sua finestra sembrava invitarla ad uscire. Così Emma nascose la boccetta di veleno ed uscì, non dicendo nulla a Charles. Percorse le strade senza guardare, cercando di sgombrare la mente. All’improvviso, vide tra la folla il volto di Léon che entrava in libreria. Si ricordò immediatamente di tutti i libri letti e discussi insieme, perché la passione per la lettura le aveva subito suggerito che fossero anime gemelle. O almeno, così le era parso. Con le lacrime agli occhi ed un batticuore tremendo, Madame Bovary si strinse nel suo cappotto e fuggì più lontano che potè, per vicoli mai visti prima di allora. Quando le mancarono le forze ed il fiato, si fermò. Di certo lo aveva seminato. Ma doveera finita? Tutt’attorno troneggiavano case squallide e decadenti. Sarebbe vissuta anche lei in posti simili, presto o tardi? Al solo pensiero, Emma si sentì mancare. Intanto una pioggerellina sempre più fitta le picchiava addosso, spingendola ad entrare in una delle baracche, l’unica da cui provenivano rumori. Varcando la soglia, la donna fu investita dal buio e da un cattivo odore. Emma rabbrividì al pensiero di chi potesse abitarvi. Chiese tremando permesso e si sentì rispondere da una signorina dai capelli biondi che le andò incontro: “ Prego, si accomodi. E’ venuta per aiutarci? Ne avremmo tanto bisogno…” Molto confusa, Emma esclamò che non sapeva neppure di cosa stesse parlando. L’altra sorrise e, per mano, la condusse nella stanza adiacente, scusandosi per l’invadenza. Le mostrò un lettino e disse di essere a disposizione per qualunque cosa, poi si congedò e se ne andò. La borghese sognatrice si adagiò sul materasso sottilissimo ma candido e fissò il soffitto. Lo scricchiolare della porta la fece sobbalzare. Si mise a sedere sul letto e vide sbucare delle piccole sagome. Una vocina iniziò a parlare: “ Ciao. Io sono Giselle. Tu come ti chiami?” Un po’ incredula, Emma rispose e subito un’altra piccola voce esclamò: “ Ma tu sei una principessa? Somigli alla prinicpessa disegnata nel mio libro di favole!” L’adulta accese una candela e si vide circondata da bimbi e bimbe. Erano curiosi almeno quan- to lei. Era evidente che era finita in un orfanotrofio. Giselle la tempestò di domande e Marie le mostrò il suo libro di favole. I piccoli la trascinarono nel corridoio con foga e gentilezza e si misero a giocare con lei, fingendo che fosse una principessa. Si divertirono con niente, bastarono entusiasmo e fantasia. Quei bambini avevano più cose in comune con Emma di chiunque altro, benchè differissero per età e classe sociale: condividevano fantasia, sogni, speranza per un futuro migliore. Inoltre avevano riacceso in lei quella forza vitale che neppure i suoi amanti erano riusciti a scatenare. Il piccolo François si disse veramente felice. Emma, stupita, ribattè:“Come puoi dirti contento se non hai niente?” François sorrise e spiegò: “ Come non ho niente?! Ho i miei amici e ho te! Queste cose nessuno me le può togliere, invece i giocattoli ed il resto sì!” Emma restò a dir poco sbalordita, come folgorata.Poi la ragazza bionda richiamò tutti per farli andare a letto. Naturalmente i bambini non volevano, e neanche Emma, perciò lei si offrì di racconatre loro una storia. La giovane acconsentì. Giselle e gli altri stettero ad ascoltarla rapiti. Quando fu il momento di andare, Emma provò una gran nostalgia appena varcata la soglia. Al suo rientro, il marito la accolse con un abbraccio, preoccupato. Fu allora che Madame Bovary capì che non possedeva tutto ciò che aveva sempre sognato, ma molto di più: quegli orfanelli non avevano nessuno ad aspettare il loro ritorno, lei aveva Charles. Non si era mai resa conto di quanto lui fosse dolce e presente, aveva sempre giudicato quelle caratteristiche noiose. Ora non più. Subito Emma gettò via la boccetta di veleno e spalancò la finestra, assaporando l’aria. La vita era troppo bella per essere sprecata così… c’erano davvero tante meraviglie ancora da conoscere, e lei ne aveva viste già un’infinità negli occhi di quei bambini. Il resto non avrebbe più contanto niente, perché quando aveva voglia di sentirsi una principessa, Emma si recava all’orfanotrofio, dai suoi piccoli amici, e quando aveva bisogno di vivere un amore da romanzo, le bastava stringersi al suo caro Charles che non l’aveva mai abbandonata , neppure nei momenti più difficili. Spesso non conta chi siamo, ma come gli altri ci fanno sentire.

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