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“La signora col cagnolino” è un racconto del 1899 di Anton Cechov. È un racconto d’amore, attuale come può essere un amore difficile fra un uomo sposato e una donna sposata. Lei è più giovane di lui, lui è più esperto di lei nelle cose d’amore. Sua moglie è una donna pensante che sembra vent’anni più grande di lui.

Lui la considera «limitata, gretta, inelegante», la teme. Per questo non gli piace stare troppo in casa. «Aveva cominciato ormai da tempo a tradirla, e lo faceva spesso; per questo probabilmente diceva quasi sempre male delle donne, e quando in sua presenza si parlava di loro le definiva così: – Razza inferiore!»
Dmitrij Dmitrič Gùrov è il nostro lui; è un bancario. Un quasi quarantenne che soffre la routine del matrimonio e della vita. È un insoddisfatto cronico. Cerca di consolare le sue frustrazioni tuffandosi in numerose avventure sentimentali. Ha sete di vita e fame d’amore, di carnalità. Le donne sono lo scopo senza senso della sua vita. Ma anche questa è routine che però lo tiene in vita. Senza donne «non avrebbe potuto vivere neanche due giorni. In compagnia degli uomini si annoiava, era a disagio, taciturno e freddo, mentre quando si trovava in mezzo alle donne si sentiva libero, sapeva di cosa parlare e come comportarsi; e perfino tacere gli riusciva facile con loro. Nel suo aspetto, nel carattere, in tutta la sua natura c’era un che di seducente, di inafferrabile che rendeva le donne ben disposte nei suoi confronti e le attraeva; egli ne era consapevole, ed era a sua volta sospinto da non so quale forza verso di loro».
Durante un periodo di vacanza, un giorno, l’attenzione del nostro bancario ricade su una giovane e bella signora che passeggia sul lungomare col suo cappellino e con al guinzaglio un cagnolino bianco. Non resiste alla tentazione di sedurla. La scintilla fra i due scocca subito, più o meno. In un incontro, la memoria va alle storie precedenti e vuole fare paragoni.

«Del passato gli era rimasto impresso il ricordo di donne spensierate, benevole, rese allegre dall’amore, che gli erano grate per quella sia pur brevissima felicità; di altre – come ad esempio sua moglie – che amavano senza sincerità, con discorsi superflui, in modo affrettato, isterico, dando a vedere che non si trattasse di amore, di passione, ma di qualcosa di più importante; e di altre ancora, due o tre, molto belle, fredde, sul cui volto balenava d’un tratto un’espressione rapace, il desiderio caparbio di prendere, di strappare alla vita più di quanto potesse concedere, e queste erano donne non più giovanissime, capricciose, irragionevoli, autoritarie, poco intelligenti, e la cui bellezza, quando Gùrov perdeva interesse nei loro confronti, suscitava in lui odio, facendogli apparire come squame i merletti della loro biancheria. Qui, invece, sempre quella timidezza, la goffaggine della gioventù inesperta, un senso d’imbarazzo, e un’impressione di smarrimento, come se all’improvviso qualcuno avesse bussato alla porta. Anna Sergeevna, la “signora col cagnolino”, aveva assunto un atteggiamento particolare, assai serio, verso quanto era successo, quasi si trattasse della sua caduta, così almeno sembrava, e ciò era strano e fuori luogo. I suoi lineamenti si erano sciupati, avvizziti, e ai lati del viso i lunghi capelli pendevano tristemente; era rimasta assorta in una posa malinconica, come la peccatrice di un vecchio quadro».

Anche questa relazione è combattuta fra rimorsi, gelosie e timori di non essere amati abbastanza. Ma può mai l’amore essere abbastanza? La nostra Anna riceve da parte del marito una lettera. Ha un problema serio agli occhi e le chiede di tornare. Le strade di Anna e Dmitrij, si dividono. Il dovere chiama. Lui non riesce però a dimenticarla. La storia non è finita, anzi l’assenza alimenta la mancanza e conferma il sentimento crescente. La patina d’insensibilità inaspettatamente sta lasciando nel nostro amante seriale il posto all’amore.
La vita a Mosca diventa sempre più noiosa. Dmitrij è sempre più stretto nella morsa della gelida moglie e della monotonia quotidiana. Di slancio decide di andare a far visita ad Anna. Diventano amanti. Diventano indispensabili l’uno per l’altra. Lui che non ha mai amato ora ama. Come tutte le storie clandestine la vita dei due si aggroviglia.

 

Ogni vita «aveva due vite: una chiara, manifesta e nota a tutti coloro che avevano bisogno che così fosse, piena di verità convenzionale e di inganno altrettanto convenzionale, in tutto simile a quella dei suoi conoscenti e amici, e un’altra che scorreva segretamente. E per un singolare concorso di circostanze, forse casuale, tutto ciò che per lui era importante, interessante, necessario, in cui era sincero e non ingannava se stesso, che rappresentava il nucleo della sua vita, avveniva all’insaputa degli altri, mentre tutto ciò che in lui c’era di falso, l’involucro nel quale si avvolgeva per nascondere la verità, come ad esempio il suo lavoro in banca, le discussioni al circolo, la sua “razza inferiore”, la sua partecipazione ai ricevimenti in compagnia della moglie, tutto ciò avveniva alla luce del sole. E sul proprio esempio egli giudicava gli altri, non credeva a quanto vedeva e supponeva sempre che ogni uomo vivesse la sua vera vita, la più interessante, sotto il velo della segretezza, come sotto un velo di tenebre. L’esistenza di ognuno si regge sul mistero, e forse è in parte per questo che l’uomo civile si adopera tanto convulsamente perché venga rispettato il segreto individuale».

I nostri amanti clandestini sono tutt’uno, intimi, teneri, vicini. Si perdonano il passato non passato insieme. Un classico. Com’è l’amore per tutti, uguale e unico. Vorrebbero vivere alla luce del sole e rimuovere gli ostacoli alla loro convivenza. Ma come? Ora che l’amore è al suo culmine il difficile è appena iniziato.

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